Riflessioni sulla responsabilità per ricorso e concessione abusiva del credito in virtù della Sentenza del Tribunale di Napoli Sez. specializzata in Materia di Imprese del 22.05.2020 Collegio dott. Raffone – Presidente; dott.ssa Colucci- Giudice; dott.ssa Grimaldi – Giudice Relatore.
di Giovanni Siciliano
Sommario
2. Motivi della decisione di rigetto della domanda risarcitoria nei confronti delle Banche. 2
3. I principi enunciati dalla sentenza in commento. 5
4. Confronto di giurisprudenza. 6
5. Considerazioni conclusive. 8
1. Sintetica esposizione dei fatti per la parte di domanda inerente la concessione abusiva del credito.
La curatela del fallimento A.A.M. S.p.A. in liquidazione (da ora A. S.p.A. o il pastificio), dichiarato con sentenza del Tribunale di Salerno del 19-20.7.2011, ha promosso azione di responsabilità verso gli amministratori - sigg. G.A. (1925), M.G.A. (in persona dell'erede M.F.N.), A.A. (1956), G.A. (1974), A.A. (1985) - i sindaci - sigg. M.M., C.A., E. L. (in persona degli eredi M.L.D., Giuseppe e D.L.), D.A. - i liquidatori - M.F.N. ed I.A. - i direttori generali - i su citati sigg. A.A. (1956) e Giuseppe (1974) - nonché, in concorso con gli organi sociali, nei confronti di alcuni istituti bancari - U.C.B. S.p.A., U. S.p.A., B.N. S.p.A., M.I. S.p.A., B.M.P. S.p.A., B.C. S.p.A. - premettendo che: già dal 2004 - 2005 la società aveva manifestato i primi segnali di crisi; nel 2009, un pool di banche, che già aveva intrattenuto rapporti con la società, aveva concesso un finanziamento di Euro 27.000.000, che aveva ritardato l'emersione dell'insolvenza e la dichiarazione di fallimento, con aggravamento del passivo. La crisi era divenuta irreversibile, tanto che nel 2011 era stato deliberato lo scioglimento e la liquidazione e l'11.3.2011 era stata presentata domanda di concordato, dichiarata inammissibile, riproposta il 9.5.2011, alla quale era seguita l'apertura della procedura che, però, poi era sfociata nella dichiarazione di fallimento.
In particolare per la curatela la responsabilità delle banche convenute in solido con gli amministratori e i sindaci, per l'aggravamento del passivo derivava da un finanziamento ipotecario concesso in pool nel luglio 2009 dall'U. come mandataria, di cui gran parte contestualmente era utilizzata per l'estinzione preferenziale di debiti pregressi verso i medesimi istituti di credito, affrontando spese vive per oltre 1 milione di Euro e generazione di un debito di oltre 15 milioni, pari all'importo erogato e mai restituito dalla società.
La curatela precisava altresì che l'unico scopo di tale finanziamento era quello di consolidare i debiti a breve, trasformandoli da chirografari ad ipotecari, in presenza di una situazione di crisi di cui gli amministratori erano coscienti e che era quanto meno conoscibile alle banche, le quali avevano consolidati pregressi rapporti finanziari con la fallita e conoscevano bene la situazione di crisi.
Per quel che qui interessa si costituivano le banche eccependo la carenza di legittimazione attiva della curatela alla luce dell’insegnamento delle SS.UU. del 2006 (nello specifico le tre sentenze della Cass. Sez. Un. n.ri 7029/7030/7031 del 28.03.2006), non concretando la responsabilità per abusiva concessione di credito un'azione di massa. Inoltre eccepivano che la successiva pronunzia della Cassazione del 2010 (in dettaglio Cass. 1.06.2010 n. 13413) consentiva l'esperimento di tale azione solo quando l'amministratore e il terzo direttore della banca erano stati già condannati in sede penale, presupposto non sussistente nella fattispecie. Nel merito, deducevano l’esclusione della concessione abusiva di credito qualora l'erogazione del finanziamento sia sorretta da idonee garanzie e da un'attenta valutazione del merito creditizio e che, al momento della stipula del contratto, la società aveva tutti i requisiti del finanziamento. In proposito evidenziavano che la stessa era cliente storica della banca e una delle più importanti realtà industriali del settore agroalimentare del salernitano, dotata di ampia solidità finanziaria e di un rilevantissimo volume d'affari. Precisavano altresì, che i bilanci 2008 e 2009 si chiudevano in utile. Innanzi a tale quadro indiziario, meglio, in presenza di dati di bilancio positivi, le banche non potevano rendersi conto dello stato di difficoltà, non potendo, altresì, considerare attraverso un giudizio ex ante che i bilanci, successivi al finanziamento, sarebbero stati chiusi in perdita.
Istruita la causa ed espletata la CTU, il Collegio ha rigettato la domanda nel merito, ritenendo non raggiunta la prova certa della illiceità del finanziamento.
2. Motivi della decisione di rigetto della domanda risarcitoria nei confronti delle Banche.
Il Collegio in primo luogo, ha respinto l'eccezione di difetto di legittimazione attiva della curatela.
Ha ritenuto, infatti, che il curatore fallimentare è legittimato ad agire, ai sensi dell'art. 146 L. Fall., in correlazione con l'art. 2393 c.c., nei confronti della banca, ove la posizione a questa ascritta sia di terzo responsabile solidale, ai sensi dell'art. 2055 c.c., del danno cagionato alla società fallita per effetto dell'abusivo ricorso al credito da parte dell'amministratore della predetta società (cfr. Cass. civ., sez. I, 20/04/2017, n. 9983; Cass. civ., sez. I, 01/06/2010, n. 13413).
Il Collegio ha precisato che il danno in questione "consistente nell'aggravamento del dissesto o nei negativi risultati economici della prosecuzione dell'attività della società, è un danno che si produce anzitutto sul patrimonio sociale e che ricade indirettamente ed indistintamente su tutti i creditori, traducendosi nella diminuzione della massa attiva posta genericamente a loro garanzia e disponibile al riparto" (cfr. Cass. n. 9983/17 cit.).
Ed è proprio perché trattasi di danno al patrimonio della società e di azione già presente nella disponibilità della società in bonis che il Curatore aveva la legittimazione a proporla in sostituzione della fallita.
Superate le questioni preliminari, il Collegio Partenopeo ha precisato che allorquando il finanziamento viene chiesto in una situazione di palese incapacità a continuare regolarmente la propria attività imprenditoriale, il credito concesso arreca unicamente pregiudizio, per l'irreversibile aggravamento della debitoria e, dunque, per l'incidenza negativa sul patrimonio sociale che ne consegue, perchè inevitabilmente induce l'imprenditore a rimanere sul mercato, senza essere in grado di rispettare le regole di un'attività efficiente e produttiva.
Il finanziamento in tal caso aggraverà il già irreversibile dissesto, per l'impossibilità di restituzione, consentendo all'impresa decotta di rimanere sul mercato, dilazionando l'accesso alle procedure concorsuali di risoluzione della crisi e dell'insolvenza.
Le ipotesi più frequenti e, del resto, di più immediata evidenza di ricorso abusivo al credito si realizzano quando ciò avviene in presenza di una perdita integrale del capitale sociale, tale da determinare una causa di scioglimento dell'impresa, situazione che dovrebbe indurre l'organo gestorio ad astenersi dal contrarre ulteriori debiti, che non faranno altro che aggravare il dissesto.
Ad avviso del Collegio quindi se il ricorso abusivo al credito va oltre i confini dell'accorta gestione imprenditoriale, quanto all'amministratore della società finanziata, la stessa erogazione del credito, ove sia stata accertata la perdita del capitale di quella società, integra un concorrente illecito della banca, la quale deve seguire i principi di sana e prudente gestione, valutando (art. 5 del T.u.b.) il merito di credito in base ad informazioni adeguate (cfr. Cass. civ., n. 9983/17 cit.).
La conseguenza della descritta condotta genera l'obbligazione risarcitoria in via solidale (art. 2055 c.c.), giacchè gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità sono correlabili alla mala gestio degli amministratori di cui le banche si siano rese compartecipi per il tramite dell'erogazione di quei medesimi finanziamenti, nonostante una condizione economica tale da non giustificarli.
Più complesso è, invece, il caso in esame in cui non era stata dedotta una insolvenza e/o crisi irreversibile basata sulla perdita di capitale, bensì, un mero stato di illiquidità, tant’è che, peraltro, l’erosione del capitale sociale era avvenuta circa due anni dopo la stipula del finanziamento.
In tale ultima ipotesi infatti, per valutare la responsabilità dell'organo gestorio e del finanziatore anche nelle ipotesi di finanziamento irregolare, nelle quali si manifestano comportamenti sintomatici di difficoltà economica, il Collegio ha ritenuto che occorre verificare, secondo diligenza, la compatibilità dell'impiego del finanziamento con le capacità produttive del finanziato, al fine della valutazione degli effetti vantaggiosi o pregiudizievoli sul patrimonio sociale, e ciò non può che avvenire sulla scorta di un piano industriale che garantisca un livello di ricavi tale da coprire innanzitutto i costi del finanziamento, nonché garantire l'onere principale derivante dallo stesso, ossia l'obbligo di sua restituzione alle scadenze pattuite nonché consentire il risanamento dell’impresa e la continuità aziendale.
L'accertamento è tanto più complesso se si considerano le riforme della disciplina delle procedure concorsuali - l'accesso alle quali presuppone per l'appunto che l'impresa versi quanto meno in uno stato di crisi - tese ad incentivare l'erogazione di credito alle imprese in difficoltà o anche già insolventi, accordandosi in talune ipotesi agli istituti di credito oltre ad una disciplina di favore (cfr. art 67 comma 3 lett. B L.F) la natura prededucibile al credito per il finanziamento erogato (cfr. art 182 quater e quinquies L.F.).
Alla luce della complessa istruttoria il Collegio ha rigettato le domande risarcitorie nei confronti delle banche poiché il finanziamento era in linea con il piano industriale ed idoneo a consentire il raggiungimento dei risultati positivi in esso contenuti nonché di garantire la restituzione del prestito erogato, il risanamento della crisi e la continuità aziendale.
3. I principi enunciati dalla sentenza in commento.
La sentenza in commento in linea con il consolidato orientamento della Cassazione riconosce la legittimazione del Curatore ad esercitare l’azione risarcitoria per la concessione abusiva del credito. In particolare la Sentenza ritiene legittimato il Curatore ex art 146 L.F. in correlazione con l’art. 2393 cc, nei confronti della Banca, quale terzo responsabile solidale ex art 2055 cc del danno diretto cagionato al patrimonio della società.
In presenza di un'avventata richiesta di credito da parte degli amministratori della società che ha perduto interamente il capitale e di una conseguente avventata o, comunque, imprudente concessione di credito da parte della banca, il comportamento illecito di quest’ultima è concorrente ed è dotato di efficacia causale, atteso che il fatto dannoso si identifica nel ritardo nell'emersione del dissesto e nel conseguente suo aggravamento prima dell'apertura della procedura concorsuale.
Ciò integra un danno per la società consequenziale al concorso di entrambi i comportamenti e l'insorgere dell'obbligazione risarcitoria in via solidale (art. 2055 c.c.).
Gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità sono correlabili alla mala gestio degli amministratori di cui le banche si siano rese compartecipi per il tramite dell'erogazione di quei medesimi finanziamenti, nonostante una condizione economica tale da non giustificarli.
Più complesso, così come nel caso esaminato dal Collegio è, invece, valutare l'abusività del ricorso al credito nell’ipotesi di mera e temporanea difficolta economico-patrimoniale e finanziaria (cosa diversa dal concetto di Crisi, che il nuovo codice della crisi non ancora in vigore, definisce come lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi cfr. art. 2, co. 1, lett. a).
In tal caso, infatti, la valutazione non essendo di immediata evidenza dovrà fondarsi su elementi che portino a ritenere che l'imprenditore versi, comunque, in una situazione di dissesto e/o crisi irreversibile e non solo transitoria, tale da rendergli definitivamente impossibile soddisfare integralmente e regolarmente i propri debiti anche all’esito di un finanziamento.
Nell’ipotesi esaminata, il Collegio ha rimarcato che la difficoltà dell’indagine è ancor maggiore poiché la normativa fallimentare ha introdotto, senza dubbio, una disciplina incentivante l'erogazione del credito alle imprese dissestate e finanche già insolventi, affinchè le banche si impegnino nell'assistenza finanziaria alle predette imprese.
Ciò, del resto, è tanto più vero se si considera che il presupposto dell'accesso alle procedure concorsuali diverse dal fallimento è lo stato di crisi, al quale, però, secondo la disciplina ancora oggi in vigore, è espressamente equiparato lo stato di insolvenza: questo vuol dire che il legislatore non vieta il ricorso al credito anche da parte dell'impresa decotta, anzi lo incentiva talvolta attribuendo finanche la natura prededucibile ai finanziamenti resi purchè ciò sia canalizzato nell’ambito di uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza.
Nella specie il Tribunale nell’esaminare la liceità o meno della condotta degli amministratori (a)ricorso al credito – intesa quale mala gestio - e (b)la concorrente condotta della banca - erogazione del credito – ha valutato: (i) se il finanziamento era in linea con il piano industriale ed i risultati prospettici ivi indicati, (ii)se la società finanziata avesse o meno la capacità di sostenere, meglio, restituire il finanziamento e gli oneri ad esso connessi nonchè di pervenire, anche grazie al finanziamento medesimo, al suo risanamento, (iii) se la Banca avesse a propria disposizione, ed in virtù di un giudizio prognostico ex ante, la possibilità di valutare la liceità o meno dell’operazione finanziaria.
Non avendo riscontrato una prova rigorosa sulla illiceità del finanziamento, ha ritenuto di rigettare la domanda nei confronti delle banche.
4. Confronto di giurisprudenza.
Tale precedente distintosi per complessità della questione fattuale, per il rigore dell’indagine compiuta dal Collegio e l’acume giuridico, rappresenta un vero e proprio vademecum utile da seguire in casi analoghi avendo anticipato di circa un anno il princio di diritto espresso dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza del 30.06.2021 n 18610 secondo cui: "Non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell'impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell'intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un'impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi".
In precedenza e di recente vi era stata da parte del Tribunale di Napoli, Sezione specializzata in materia di imprese la pronuncia n. 6704 del 2.07.2019, Presidente Raffone Consigliere Relatore dott. Savarese, nella quale il Collegio in maniera innovativa aveva acutamente applicato la stessa regola in materia di concessione abusiva del credito, della responsabilità concorrente e solidale tra amministratori della fallita e banche, all’ipotesi diversa rispetto a quella esaminata dalla Sentenza in commento, ovvero al caso in cui gli amministratori hanno autorizzato un illecito finanziamento della società poi fallita a vantaggio di società terze finanziate, destinatarie finali del predetto finanziamento illecito.
Sulla stessa linea delle sentenze in commento si sono posti anche altri Giudici di merito: Corte D’Appello di Firenze 11.11.2019, Tribunale di Bologna Sez. specializzata in materia di Imprese del 13.07.2017, Tribunale di Prato – Sez unica – del 15.02.2017.
Infatti tutte le pronunce indicate, pur nelle loro particolarità, depongono per una responsabilità contrattuale per mala gestio degli amministratori, cui si aggiunge in concorso la responsabilità extracontrattuale e solidale della Banca.
In particolar modo si osserva però che mentre il Collegio Partenopeo ha rigettato la domanda nei confronti degli istituti di credito poiché il finanziamento erogato per consentire la realizzazione del piano industriale, è stato ritenuto lecito, meglio: (a) proporzionato alle capacità produttive della società, b) idoneo al superamento della crisi, il Tribunale di Bologna, Sezione specializzata in materia di imprese, nel rimarcare che il Fallimento che agisce nei confronti della banca finanziatrice per concorso di colpa nella mala gestio degli amministratori della società poi fallita deve allegare e dimostrare i fatti costitutivi della responsabilità dell’organo gestorio rispetto ai quali l’istituto di credito si sia reso compartecipe, ha rigettato la domanda ritenendo non sufficiente evidenziare le anomalie e gli artifici contabili che avevano dissimulato la perdita di continuità aziendale, ma che era indispensabile individuare in modo chiaro e preciso le operazioni non conservative successivamente poste in essere dagli amministratori il cui compimento era stato, di fatto, consentito o agevolato dalla erogazione imprudente di credito da parte della banca convenuta.
5. Considerazioni conclusive.
Alla luce delle osservazioni appena svolte, non vi è chi non veda come la sentenza del Collegio partenopeo relatore Grimaldi, sebbene abbia deciso su una fattispecie verificatasi prima dell’entrata in vigore del nuovo articolo 2086 cc, e non faccia espressa menzione della richiamata norma nella sua parte motiva, appare allineata alla predetta disposizione (introdotta dall’art. 375, comma 2, del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza a far tempo dal marzo 2019).
L’articolo 2086 cc, infatti, impone all’impresa e quindi all’organo amministrativo che la rappresenta e gestisce, di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.
La predetta Sentenza nell’affermare che è necessario dover indagare le concrete possibilità di risanamento dell'impresa che accede al finanziamento e che occorre verificare, secondo diligenza, la compatibilità dell'impiego del finanziamento con le capacità produttive del finanziato, nel rigettare la domanda nei confronti delle banche ha finito per ricondurre il finanziamento (richiesto ed erogato) nella categoria di quelli finalizzati al superamento della crisi e al recupero della continuità aziendale poiché proporzionati alla struttura e alle capacità dell’azienda finanziata.
Inoltre, si precisa che allorquando entrerà in vigore l’art 25 decies del nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, le Banche avranno altresì l’obbligo nel momento in cui comunicano variazioni o revisioni o revoche degli affidamenti, di notiziare gli organi di controllo societari i quali a propria volta dovranno effettuare le opportune segnalazioni agli organi amministrativi.
Innanzi a tale quadro normativo (alludo all’ art. 25 decies che potrà entrare in vigore di qui a poco – salvo proroghe ulteriori), se da un lato si rinviene un rafforzamento della posizione degli intermediari bancari i quali vengono eletti al rango di diretti controllori dell’equilibrio economico finanziario del mercato, dall’altro si profila una maggiore responsabilità in capo alle banche nell’esercizio del credito, proprio in virtù dei vincoli di segnalazione imposti.
Inoltre, proprio l’introduzione del nuovo art. 2086 cc (il quale obbliga tutte le imprese di dotarsi di una adeguata struttura organizzativa al fine della rilevazione tempestiva della crisi), responsabilizza ancor di più le banche nel valutare attentamente se le imprese affidate o ricorrenti al credito abbiano una adeguata organizzazione interna tesa a rilevare tempestivamente l’aggravarsi della crisi, nonché a garantire la continuità aziendale, pena la loro responsabilità solidale e concorrente con quella degli organi gestori e di controllo.
Si segnala altresi’ che le Banche rientrando nella categoria degli operatori qualificati dovranno rispettare certosinamente nella erogazione dei finanziamenti alle imprese in crisi la diligenza qualificata del bonus aergentarius e il principio di solidarietà economica e sociale (cfr art. 2 cost) evitando di incorrere in finanziamenti illeciti che mantengono artificiosamente in vita società decotte che non hanno prospettive di ripresa.
Sul punto la Cassazione con sentenza del 5.08.2020 n. 16706 ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno resa in sede di opposizione allo stato passivo che aveva rigettato la pretesa di credito restitutoria della banca ritenendo irripetibili ex art. 2035 c.c., le prestazioni rese dall’istituto di credito poiché costituenti nella sostanza un finanzialmento illecito.
La Suprema Corte, infatti, nel rimarcare quanto già statuito dal Tribunale Campano ha sancito che:
a) l'operazione nella sostanza ricompensava l'anticipazione di somme, dissimulando un finanziamento, ripagato "con corrispettivi alieni", avendo come unico scopo una "iniezione di liquidità" in favore della società A.A., già in crisi e che avrebbe poi il 9.5.2011 depositato domanda di concordato preventivo;
b) il negozio risulterebbe peraltro inefficace anche se configurato come "indiretto", avendo l'ipoteticamente voluto contratto di fornitura l'unico scopo di finanziare, ma in modo anomalo, la s.p.a. A.;
c) l'erogazione sistematica e prolungata delle descritte erogazioni, con i citati negozi, comunque consentiva alla beneficiaria una permanenza artificiosa sul mercato, venendo con esse pagati i debiti correnti, con ritardo nell'emersione dell'insolvenza e danno per i creditori;
d) le oprazioni compiute erano pertanto contrarie a norme imperative, in particolare di natura penale, quali il divieto di aggravare il dissesto e di ordine pubblico economico, che impone la buona fede nelle relazioni contrattuali, ha affermato il seguente pricipio di diritto:
“Ai fini dell'applicazione della "soluti retentio" prevista dall'art. 2035 c.c., le prestazioni contrarie al buon costume non sono soltanto quelle che contrastano con le regole della morale sessuale o della decenza, ma sono anche quelle che non rispondono ai principi e alle esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico, dovendosi pertanto ritenere contraria al buon costume, e come tale irripetibile, l'erogazione di somme di denaro in favore di un'impresa già in stato di decozione integrante un vero e proprio finanziamento, che consente all'imprenditore di ritardare la dichiarazione di fallimento, incrementando l'esposizione debitoria dell'impresa trattandosi di condotta preordinata alla violazione delle regole di correttezza che governano le relazioni di mercato e alla costituzione di fattori di disinvolta attitudine "predatoria" nei confronti di soggetti economici in dissesto”.
Infine, si osserva che allorquando si agisca, invece, ex art 2497 cc, per configurare una responsabilità della banca in materia di concessione abusiva del credito non sempre è richiesto un contributo causale dell’istituto di credito.
Sul punto infatti la Corte di Appello di Milano ha riconosciuto la responsabilità della Banca approfittratrice ex art 2497 II comma cc, seconda parte, senza che la stessa abbia fornito un apporto causale.
Infatti, l’istituto di credito (nella specie Barcklais) non avendo partecipato all’attività di direzione e coordinamento, meglio, avendo mantenuto un comportamento passivo neutro, aveva comunque tratto beneficio dall’attività di eterodirezione e coordinamento compiuta dalla holding in danno della controllata, in spregio ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale (cfr. Corte di Appello di Milano del 18.05.2021 n 1569).
In conclusione da quanto sopra, emergono svariate ipotesi di reponsabilità della banca in matetria di concessione abusiva del credito.
a)responsabilità della banca c.d. “coordinatrice”, quale amministatrice di fatto dell’impresa finanziata, responsabile in base alle norme sulla responsabilità degli amministratori di diritto o per abusività di direzione e coordinamento ex art 2497 I comma cc;
b)responsabilità della banca “concorrente” e solidale ex art 2392 cc e ex art 2055 cc, nell’ipotesi in cui l’istituto di credito abbia concorso nel compimento nell’illecito da parte degli amministratori della finanziata;
c)responsabilità della banca “fiancheggiatrice” che si limiti a partecipare all’abuso realizzato da altro soggetto che eserciti attività di eterodirezione sulla società finanziata, così incorrendo nella resposabilità ex art 2497 II comma cc, prima parte;
d)responsabilità della banca “approfittratrice” o “parassita”, la quale pur non contribuendo causalmente all’abuso di direzione e cordinamento da parte della holding sulla controllata, mantendendo un comportamento neutro o passivo, abbia consapevolmente tratto beneficio da illegittime operazioni infragruppo ai sensi dell’art 2497 II comma cc, seconda parte;
e)allorquando entrerà in vigore l’art 25 decies del nuovo codice della crisi e dell’insolvenza si potrà profilare, invece, la responsabilità della banca “silente” o “dormiente” ovvero che non ottempera ai doveri di comunicazione agli organi di controllo societari delle variazioni e delle revisioni o revoche degli affindamenti.
Si allega:
1) Tribunale di Napoli, Sezione specializzata in materia di imprese, Sentenza del 22.05.2020;
2) Tribunale di Napoli, Sezione specializzata in materia di imprese, Sentenza del 2.07.2019;
3) Tribunale di Bologna Sezione specializzata in materia di imprese, Sentenza del 13.07.2017.
4) Cassazione Civile n. 16706/2020;
5) Cassazione n 18610/2021;
6) Corte D’Appello di Milano n. 1569/2021.